Economia | 20 settembre 2022, 10:59

Filiera legno-arredo: annata positiva ma preoccupa l'autunno

Il report di Federlegno Arredo evidenzia una prima metà di 2022 positiva per il settore legno-arredo, composto da aziende che hanno continuato a investire e guardare con fiducia al futuro, nonostante la pandemia. A preoccupare però sono gli aumenti generali dei costi delle materie prime, che potrebbero ribassare il trend.

Filiera legno-arredo: annata positiva ma preoccupa l'autunno

La filiera legno-arredo si presenta forte di un 2021 sorprendentemente al di sopra delle aspettative, con un fatturato complessivo che supera i 49 miliardi di euro, di cui 18 destinati all’export, oltre 290mila addetti e 70.000 imprese (che rappresentano rispettivamente il 7,7% e il 15% sul totale nazionale) un saldo commerciale attivo pari a 8,2 miliardi di euro e un fatturato alla produzione aumentato in valore del 14% sul 2019.

Numeri che sanciscono lo stato di salute di un settore fatto di aziende, spesso piccole, che nonostante le difficoltà degli ultimi due anni, hanno continuato a investire e a guardare con fiducia al futuro, come evidenzia anche l’alta adesione all'ultimo Salone del Mobile di Milano, tornato finalmente in presenza e al suo format originale, a dimostrazione di quanto gli imprenditori del design lo considerino strumento fondamentale di business.

Il primo trimestre 2022

Spiega Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo : «Ad oggi, stando alle rilevazioni dell’ultimo Monitor realizzato dal nostro Centro Studi su un campione di aziende associate, il trimestre gennaio-marzo 2022 si è chiuso con un buon andamento delle vendite (+24,5%), che ha riguardato sia il mercato interno (+27,2%) sia le esportazioni (+21%). Anche il macrosistema arredamento ha registrato un aumento del 20% sia per le vendite del mercato interno che per l’export: variazione positiva che abbraccia tutti i sistemi, pur essendo più marcata per l’arredamento».

Feltrin aggiunge poi altri dati: «Rispetto al 2021 i primi indicatori evidenziano persino un progressivo recupero anche del contract che più di altri aveva sofferto negli anni della pandemia. Ma sono troppe le variabili in campo e immaginare che la domanda rimanga effervescente come adesso, rischia di risultare irrealistico. Oltre al fatto che è ancora prematuro valutare se, e quanto, questi risultati siano reali o conseguenza dei ritocchi dei listini applicati per contenere l’incidenza dei costi energetici e delle materie prime».

Uno sguardo all'estero

«Volgendo lo sguardo oltre confine - sottolinea Feltrin – l’export al momento sembra risentire in maniera ancora marginale del conflitto in corso, tanto che ì principali mercati di destinazione dei nostri prodotti sono cresciuti a ritmi sostenuti: gli Stati Uniti, terzo mercato di esportazione registrano +28,3%, il Regno Unito +30% e la Svizzera +29,8%. Bene anche l’Europa con i primi due mercati di sbocco Francia e Germania rispettivamente a +9% e +18,6%. Però si iniziano a intravedere piccoli segnali di rallentamento di cui dobbiamo tener conto. Sul mercato nazionale, una volta esauriti gli ordini già acquisiti, le imprese si attendono un rallentamento del trend attuale. Non vanno infatti sottovalutate le conseguenze dell’effetto inflattivo dei costi energetici e non solo sul potere d’acquisto delle famiglie e sulla loro propensione alla spesa, che è ragionevole pensare possa rallentare nel corso dei prossimi mesi».

I dati dell'Istat

Un sentiment che trova riscontro anche in altri indicatori economici, a partire da quelli elaborati dall’Istat secondo cui, dopo lo slancio dell’export di gennaio verso i Paesi Extra UE, già a febbraio e marzo si registrano i primi segnali di rallentamento con un passaggio dal + 30% al +20%. Fenomeno imputabile sia al mercato russo che pesa per il 2,7% del nostro export (marzo -7,3%) che a quello cinese che scende dal +26,3% di gennaio e dal +17,1% di febbraio scorso al +6% di marzo 2022.

All’interno di quel 2,7% di export russo troviamo imprese per le quali quel mercato rappresenta uno degli sbocchi principali, anche se negli anni, con le restrizioni in vigore dal 2014, hanno progressivamente differenziato i mercati riducendo così la dipendenza da quel Paese, riuscendo a compensare, almeno in parte, le perdite subite.