L'esercito di lavoratori in nero in Italia non conosce crisi: secondo gli ultimi dati disponibili riferiti a inizio 2020, in Italia c'erano 3,2 milioni di occupati irregolari. In termini assoluti è il Nord l'area del Paese con il maggior numero, pari a 1.281.900, seguita dal Mezzogiorno con 1.202.400, mentre al Centro se ne contano 787.700. Lo dice l'ufficio studi della CGIA di Mestre.
La classifica cambia se si considera l'incidenza del lavoro irregolare sul totale dell'occupazione: in questo caso l'area del Paese con maggiore incidenza del lavoro irregolare è il Mezzogiorno (17,5%), quindi il Centro (13,1%) e Nord (10%); la media nazionale è del 12,6%.
L'economia sommersa presente in Italia "genera" ben 76,8 miliardi di euro di valore aggiunto, una piaga sociale ed economica che, a livello geografico, presenta differenze molto importanti. In Veneto, ad esempio, con oltre 203 mila lavoratori occupati irregolarmente, ha un tasso dell'8,8%, mentre l'incidenza del valore aggiunto prodotto è pari al 3,5%, la percentuale più bassa del Paese. Seguono Lombardia, Provincia Autonoma di Bolzano e di Trento (3,6%) e Friuli Venezia Giulia (3,7%). Le situazioni più critiche si registrano nel Sud: in Calabria, a fronte di "soli" 131.700 lavoratori irregolari, il tasso di irregolarità è del 21,5% e l'incidenza del sommerso sul totale regionale ammonta al 9,2% (in termini assoluti 2,7 miliardi di euro). Segue la Campania, con 352.700 non regolari e un tasso del 18,7% con un Pil da "nero" sul totale regionale dell'8,1% (8,1 miliardi).
«Siamo propensi a ritenere - sottolinea la Cgia - che a seguito della crisi pandemica, che ha provocato un forte incremento dei lavoratori in Cig e un impoverimento generale delle fasce sociali più deboli, il numero dei lavoratori irregolari e gli effetti economici siano aumentati in misura importante, soprattutto nelle aree del Paese che tradizionalmente sono più fragili e arretrate economicamente».